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demogo . Stefano D’Elia

Malga Fosse . Passo Rolle

demogo

L’attuale edificio di servizio a Malga Fosse si colloca in un contesto di enorme pregio sia naturalistico che paesaggistico: è immerso nel Parco naturale Paneveggio – Pale di San Martino, a circa 1 km dal Passo Rolle e sovrastato dalla vetta del Cimon de La Pala.

I principi che hanno guidato il progetto mirano a considerare l’edificio come punto di lettura del paesaggio, sia per le viste che si godranno da esso che verso di esso, assumendo così il ruolo di “faro della montagna”, un landmark che dialoga e si inserisce nel contesto. Da elemento accentratore, catalizzatore iconografico del paesaggio, ad amplificatore dell’ambiente stesso. Un rapporto ambivalente che si nutre di risonanze profonde, che in questi luoghi richiamano ad un rapporto ancestrale tra uomo e montagna. L’architettura si confronta attraverso il proprio spazio con la grande dimensione del paesaggio alpino, cercando una dialettica di mimesi, che non rinuncia però a mettere in scena lo sforzo di trasformazione della materia che, attraverso la costruzione, l’architettura per sua natura impone. I materiali stessi sono parte di questo paesaggio, paesaggio che il progetto di architettura mira a riordinare attraverso la costruzione di nuovi limiti destinati all’abitare. Costruzione che diviene una sorta di avamposto privilegiato in grado di stabilire una linea percettiva amplificata delle sensazioni prodotte mediante la scoperta, o riscoperta, dell’essenza complessa di un luogo. L’idea di progetto considera i sentieri che attraversano il sito come segni che, malgrado la fragilità della loro presenza rispetto alla solennità dei luoghi, rappresentano la sovrapposizione di tracce di memoria di coloro che li hanno percorsi. Il progetto vuole integrare tale memoria con lo spazio prodotto dall’architettura: un paziente lavoro di riammagliamento di queste tracce, presenza latente ma preziosa in grado di costituire il contesto dei segni sotteso su cui si innesta il nuovo progetto. Infine, questo è un progetto di sottrazione, in cui la materia solida acquista la propria forma attraverso lo scavo e l’erosione, liberando così lo spazio del vuoto, lo spazio dell’abitare. Un’architettura dal carattere fortemente scultoreo, protesa verso la plasticità della forma rispetto all’immagine di fondo, un rapporto dialettico per opposizione che non rinuncia ad una matericità preesistente in alcuni edifici fortemente iconici, che tipicamente si innestano in questi luoghi: le pievi montane, gli antichi insediamenti monastici, le torri osservatorio, restano infatti i riferimenti chiave anche per questo progetto contemporaneo. Da un punto di vista compositivo, lo schema utilizzato trae ispirazione dal consueto rapporto tra un elemento orizzontale, che media la transizione tra interno ed esterno, e un elemento verticale, che permette l’identificazione e la percezione del paesaggio in lontananza. Tale rapporto viene ulteriormente rafforzato dalle scelte di diversificazione funzionale contenute nel programma: nel corpo orizzontale si articolano le parti ricettive quali accoglienza, bar e ristorante; nel corpo verticale trovano posto l’alloggio del custode e le camere per gli ospiti. In tal modo si crea una gerarchia spaziale che identifica le funzioni prettamente pubbliche da quelle che necessitano di maggiore discrezione ed intimità. Producendo così la riconoscibilità delle destinazioni attraverso la semplice lettura formale dell’edificio. Inoltre il vuoto, prodotto dal progetto di articolazione dei due corpi, crea un varco entro il quale scende il sentiero, che si integra con i percorsi di progetto, diventando così elemento d’unione tra interno ed esterno, tra il costruito e il luogo.